I tentativi di utilizzare il fattore etnico nella politica delle autorità sovietiche nei confronti della Chiesa cattolica in Lituania negli anni 1944-1990
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LT |
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2017 |
La fine della Seconda guerra mondiale non fu per la Lituania e per i vicini Stati baltici, la Lettonia e l’Estonia, un soffio di libertà, bensì il ritorno sotto la dominazione del pericoloso vicino, l’URSS, all’“abbraccio fraterno” che i paesi baltici avevano già sperimentato negli anni 1940-1941. L’ideologia del marxismo- leninismo, vigente in URSS, si ripercosse su tutti i campi della vita sociale, inclusa quella religiosa. La Chiesa cattolica, alla quale in Lituania apparteneva oltre l’80% della popolazione, fu dichiarata uno dei più grandi nemici del sistema sovietico. La Lituania era l’unica tra le Repubbliche sovietiche in cui dominavano i cattolici. Nonostante nell’immediato dopoguerra in Lituania operassero forti truppe di guerriglia antisovietica, le autorità indicarono la Chiesa cattolica come il principale nemico da combattere. La Chiesa godeva di una grande autorità e rispetto nella società, in più il suo legame con il Vaticano costituiva un ostacolo per i governanti sovietici nella realizzazione del piano della sottomissione della Chiesa lituana ai propri interessi. La lotta per il “governo delle anime” durò fino alla caduta del sistema comunista e della dissoluzione dell’URSS nel 1990. A questa battaglia furono applicati diversi metodi: nel periodo staliniano su 1.200 sacerdoti, che svolgevano il servizio pastorale nel 1944, furono perseguitati oltre 360, furono arrestati i vescovi, in libertà rimase uno solo e soltanto per il motivo di mantenere la “specificità” della Chiesa, cioè la continuità di alcuni riti riservati al vescovo, come per esempio l’ordinazione sacerdotale.[...]